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Globalizzazione e disoccupazione giovanile, uno strano trend

Globalizzazione e disoccupazione giovanile, uno strano trend

Autore: Alessio Marra - Redazione Economia
Data: 05/09/2014 10:15:34

E’ sotto gli occhi di tutti un dato ormai inconfutabile: la globalizzazione, anziché aprire i mercati verso una maggiore concorrenza e favorire la creazione di nuovi posti di lavoro, sta rafforzando le già esistenti barriere tra piccole imprese e colossi industriali e finanziari, il tutto a discapito della forza lavoro, all’interno della quale il numero dei disoccupati è in progressivo aumento. I numeri, nel nostro paese, parlano chiaro. Le attività le quali rischiano il fallimento sono quelle maggiormente legate alla tradizione (artigianali ed eno-gastronomiche) e la disoccupazione giovanile avanza imperterrita, superando la ragguardevole quota del 40%.

Se in un primo momento questi due fenomeni appaiono inconciliabili, può risultare utile osservare la questione da un punto di vista non strettamente commerciale bensì psicologico-ambientale. Il principale effetto della globalizzazione, in concerto con l’avvento della moneta unica e con le ultime vicende legate al debito pubblico degli stati membri dell’UE, è stato quello di spingere i paesi industrializzati a guardare verso altri stati considerati come modelli da seguire (USA su tutti) perdendo di vista la propria identità e le proprie specificità, tanto che, probabilmente, oltre a discutere in merito al tema della sovranità monetaria, i media dovrebbero iniziare a interrogarsi sulla sovranità psicologica di stati come Italia, Grecia e Spagna.

Questa tendenza si sta traducendo, nella nostra penisola, in una vera e propria attrazione morbosa, da parte dei più giovani, verso il mercato finanziario (complice una cinematografia altamente accomodante in tal senso) e, più generalmente, verso ogni forma di guadagno virtuale estremamente elevato in tempi estremamente brevi.

Per questi motivi è possibile affermare che, in una nazione la quale si riscopre ricca di aspiranti trader e manager, sia opportuno riconsiderare l’importanza del lavoro, il quale, con un capitale investito iniziale quasi nullo e una rendita che può, al limite, avere una durata infinita, rappresenta ancora l’asset più remunerativo per la vita di un giovane.


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